Sempre più spesso si sente parlare di inquinamento da microplastiche, ma è difficile fare chiarezza sul tema. Questi piccoli frammenti di plastica sono presenti ormai ovunque, dall’atmosfera, fino al nostro organismo. Un fenomeno che ha suscitato sdegno nell’opinione pubblica, portando in breve tempo alla condanna della plastica.
Il problema è però ben più complesso, non è riducibile solamente al materiale in sé.
Cosa sono le microplastiche e come si formano?
Ogni giorno tante piccole particelle di plastica si riversano nei nostri mari. Il loro diametro va dai 330 micrometri e i 5 millimetri e per questo risultano molto pericolose per la salute degli animali e, non ultimo, dell’uomo. Si suddividono in primarie e secondarie.
Microplastiche primarie
Le microplastiche primarie sono frammenti che vengono dispersi direttamente nell’ambiente. La fonte principale è il lavaggio degli indumenti sintetici, che dall’ultima analisi pubblicata dall’Europarlamento “rappresenta il 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente”. Una semplice lavatrice di capi in poliestere può causare la diffusione di 700.000 fibre che finiscono nei fiumi e in mare, entrando direttamente nella catena alimentare.
Il 28% delle microplastiche primarie è rappresentato inoltre dall’abrasione degli pneumatici durante la guida: sono infatti costituiti da polimeri sintetici mischiati ad altri additivi che, sfregando sull’asfalto, rilasciano piccole particelle, trasportate poi dall’azione del vento e dalle piogge.
Ma non solo. A partire dagli anni Novanta il settore cosmetico ha iniziato ad inserire alcune microsfere nei detergenti, dei dentifrici e nelle creme: elementi che aiutano nell’igiene quotidiana, ma che una volta utilizzati finiscono inevitabilmente nei sistemi idrici pubblici, rappresentando circa il 2% del problema.
Microplastiche secondarie
Si tratta di particelle prodotte dalla degradazione degli oggetti più grandi, come bottiglie, buste di plastica o flaconi. Rappresentano circa il 68-81% dei frammenti presenti, e il principale responsabile è l’inquinamento da plastica: rifiuti che finiscono in mare e che nel tempo vengono erosi dagli agenti atmosferici.
Cosa accade quando le microplastiche finiscono nei nostri mari?
Una volta in mare queste sostanze entrano nella catena alimentare: vengono assorbite da plancton, invertebrati, pesci, fino ad arrivare alle nostre tavole.
Sono state trovate infatti negli alimenti e nelle bevande, compresi birra, miele e la comune acqua del rubinetto.
Gli effetti sulla nostra salute ancora sono ignoti. Ciò che sappiamo con certezza è che spesso la plastica contiene additivi o altre sostanze tossiche che possono intaccare l’organismo.
Combatterle attraverso la riduzione dei rifiuti
Già da tempo l’Europa sta lavorando a strategie per aumentare il tasso di riciclo, cercando di vietare l’utilizzo intenzionale delle microplastiche nei cosmetici e di minimizzare il loro rilascio dai tessuti e dagli pneumatici.
Quando si parla di inquinamento da plastica però il problema degli imballaggi è quello più visibile al cittadino. Sono le grandi quantità di rifiuti che vengono riversate in mare a destare le maggiori preoccupazioni e a causare il rilascio più consistente di queste particelle nell’ambiente. Il nemico non è quindi la plastica in sé, ma l’uso che ne facciamo e come gestiamo il fine vita dei prodotti.
Dobbiamo evitare prima di tutto che i materiali finiscano in mare. Questo può avvenire solo attraverso un’educazione del cittadino alla sostenibilità e, ancor prima, tramite una progettazione più attenta in tutti i settori: l’obiettivo è eliminare la plastica usa e getta, favorendo invece il riutilizzo e il successivo riciclo, riducendo i rifiuti prodotti in un modello economico circolare.